Laboratori formativi

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martedì 26 novembre 2013

La cittadinanza italiana per i giovani immigrati


La cittadinanza italiana per i giovani immigrati...

Libro consigliato: Apprendimento cooperativo e educazione interculturale


"Il crescente pluralismo etnico, religioso, linguistico e culturale delle nostre società coinvolge la scuola in un necessario ripensamento delle modalità educative. La sfida dell’educazione interculturale attraverso l’utilizzo del cooperative learning vuole essere dunque, per insegnanti e educatori, un suggerimento mirato ad affrontare gli effetti della globalizzazione ormai diffusi in ogni classe. Saper cogliere il multiculturalismo come opportunità di crescita, anziché viverlo come rischio o svantaggio, è ciò che il volume si propone, grazie a un progetto di ampio respiro rivolto alla scuola primaria.
Il testo si struttura in una prima parte teorica, che fa da cornice di riferimento ai percorsi e alle attività della seconda parte. Ognuna delle tre aree pensata per il curricolo (Sensibilizzazione, Interazione responsabile e Verso un nuovo umanesimo) è divisa in sei interventi specifici per il gruppo classe e in una proposta finale da realizzarsi con tutti gli alunni per divenire «scuola comunità». I suggerimenti didattici e le schede presentate, pur nella loro dettagliata struttura, vogliono essere input da mediare e concretizzare attraverso il lavoro quotidiano dei docenti. Il libro è rivolto a insegnanti e educatori, ma anche a studenti e ricercatori."

http://www.erickson.it/Libri/Pagine/Scheda-Libro.aspx?ItemId=39573

Together Senza Razzismo - Bologna 23 Marzo 2013 Diretta Streaming LepidaTv


domenica 24 novembre 2013

Giovani immigrati: Il razzismo dei gesti e dei pensieri quotidiani. (Seconda parte..)

L'episodio citato nel post precedente in realtá mostra quanto il linguaggio della differenziazione non crei solo "bianchi" e "negri", ma mostri i suoi effetti anche verso chi apparentemente non é discriminato, "colora" in modo diverso anche Nassera, come anche altri giovani immigrati.
La differenziazione da chi, attraverso i gesti e le parole, battendo una mano sulla spalla, dice "Tu, no; tu non sei come loro; tu sei quasi come noi, e puoi stare fra noi se sai rimanere al tuo posto!" Portando via cosí un altro pezzo fondamentale dell'identitá di quel giovane senza integrarlo in altro e nuovo contesto, in una pienezza di diritti: né "nero", né "bianco", in una sorta di limbo senza passato, privo di identitá e dal futuro precario....

Tuttavia personalmente penso che questo tipo di "razzismo assimilativo" si manifesti anche all'interno di tutti i gruppi coinvolti nelle relazioni sociali.

Giovani immigrati: Il razzismo dei gesti e dei pensieri quotidiani. (Prima parte..)

Vorrei riportare qui in seguito un episodio di cui ho letto di recente e su cui mi sono rispecchaiata da "giovane immigrata di seconda generazione".


<<Durante il tragitto mamma e figlia non la smettevano piú di parlare, criticando tutto e tutti. Ascoltavo appena, finché una frase mi portó bruscamente alla realtá. ´Certo che quel negro ballava bene´ disse la signora. La parola ``negro``, il tono di voce con cui era stata pronunciata, mi misero improvvisamente a disagio. Sa benissimo che si chiama Stef, perché ha detto ``negro``? `Mi é stato dietro tutta la serata, con quelle sue labbrone... mi avrebbe volentieri succhiata tutta´ replicó Silvie. E scoppiarono a ridere insieme. Io non ridevo e mi sentivo sempre piú offesa. ´Io non sono affatto razzista, per caritá, ma la gente di colore mi fa un po' senso´ continuó la madre con aria snob. D'un tratto ebbi chiaro cosa c'era che non andava; stavano parlando del razzismo e dei negri come se io non ci fossi, o come se di colpo fossi diventata bianca. Chiesi: ´Mi scusi signora, ma se un giorno sua figlia dovesse innamorarsi di un ragazzo nero, lei come la prenderebbe?´
´Sei matta?! Non permetterei mai che mia figlia sposi uno di colore. E poi é impossibile, perché anche a lei, come me, i negri fanno senso´.
Una risposta cosí non me lo aspettavo davvero. [..] Feci d'istinto ancora una domanda: ´Silvie, ma come posso essere la tua migliore amica se anche io sono, come avete detto voi ``negra``?´ La risposta che diede, ME LA SONO SENTITA RIPETERE TANTE VOLTE dalla gente piú diversa e nei vari posti, E POSSO ASSICURARE CHE FA PIÚ MALE DI UN INSULTO: ´Ma noo... che stai dicendo?... CON TE NON É LA STESSA COSA. Eppoi tu non sei proprio ``nera nera``, sei mulatta. Non hai il naso sproporzionato come gli africani veri...`. La mia amicizia con Silvie finí cosí, quella notte, in quella macchina, con quelle parole. >>
Testo tratto dal racconto autobiografico di Nassera Chora, una giovane maghrebina.

venerdì 15 novembre 2013

My PLE




"Gli Ambienti di apprendimento personale cioè Personal Learning Environment (PLE) sono sistemi che aiutano gli studenti a prendere il controllo e a gestire il proprio apprendimento. Ciò comprende sostenere gli studenti a:
  • fissare i propri obiettivi di apprendimento
  • gestire il proprio apprendimento, sia il contenuto e di processo
  • comunicare con altri nel processo di apprendimento.

Il PLE mette il singolo studente al centro, dove può creare il proprio ambiente di apprendimento personale. Gli utenti sono liberi di accedere, unire, sviluppare ed estendere il sistema. Questo sistema è interoperabile tra diversi sistemi software e tecnologie."
(Fonte Wikipedia).

Gli ambienti personali di apprendimento sono un insieme delle tecnologie costruite per elaborare nuovi tipi di processi di apprendimento che possono essere formali (scuola, università, lavoro..) o informali (casa, tempo libero).
Tutti noi abbiamo un nostro PLE, varia solo il modo di gestirlo perchè dipende dai nostri interessi personali.

giovedì 14 novembre 2013

PEER EDUCATION, una collaborazione giovanile!

La peer education è una metodologia di promozione dell’agio e del benessere dei giovani e tra i giovani. 



Il termine “peer education” (letteralmente "Educazione tra Pari") è usato per descrivere l'educazione ai giovani fatta dai giovani (Tobler).Esso identifica quindi una strategia educativa volta ad attivare un processo spontaneo di passaggio di conoscenze, di emozioni e di esperienze da parte di alcuni membri di un gruppo ad altri membri di pari status; un intervento che mette in moto un processo di comunicazione globale, caratterizzato da un’esperienza profonda ed intensa e da un forte atteggiamento di ricerca di autenticità e di sintonia tra i soggetti coinvolti. Questo modello va quindi oltre la consueta pratica educativa e diviene una vera e propria occasione per il singolo soggetto, il gruppo dei pari o la classe scolastica, per discutere liberamente e sviluppare momenti transferali intensi. 
La peer education è dunque “un sistema grazie al quale persone di età, status ed esperienza simili possono passarsi reciprocamente informazioni ed imparare l’una dall’altra. Il fatto importante è che non c’è una relazione di potere come quella che c’è tra docente e studente, tra animatore e giovane, tra direttore ed operaio”. In questa accezione, la peer education propone un’alternativa all’idea di autorevolezza ed è inoltre caratterizzata dall’enfasi posta su un tipo di apprendimento che sia contemporaneamente interattivo e partecipativo. Si fonda sul riconoscimento del passaggio dal periodo dell’infanzia in cui le relazioni più significative sono quelle di tipo verticale, al periodo dell’adolescenza in cui emerge il bisogno di relazioni orizzontali, in cui l’interazione sia caratterizzata da simmetria, eguaglianza, complementarietà, mutuo controllo. 
"[...] l'educazione fra pari è il processo grazie al quale dei giovani, istruiti e motivati, intraprendono lungo un periodo di tempo attività educative, informali o organizzate, con i loro pari (i propri simili per età, background e interessi), al fine di sviluppare il loro sapere, modi di fare, credenze e abilità e per renderli responsabili e proteggere la loro propria salute. L'educazione fra pari ha luogo in piccoli gruppi o con un contatto individuale e in molteplici posti: in scuole e università, circoli, chiese, luoghi di lavoro, sulla strada o in un rifugio o dove i giovani si incontrano." La Peer Education si pone come un progetto educativo mirato a promuovere un rapporto tra giovani 

e adulti nel quale comunque ognuno mantiene la propria identità ed il proprio ruolo. La peculiarità del modello educativo peer è rappresentata però dal fatto che avviene una sorta di “ribaltamento” del modello tradizionale di educazione, che tende a coinvolgere i giovani in forme più o meno costrittive e manipolatorie, affinché assorbano programmi e contenuti stabiliti unilateralmente dagli adulti. La Peer Education, al contrario, punta a riconoscere e a promuovere un ruolo attivo degli adolescenti, che diventano protagonisti consapevoli della propria formazione. 

In conclusione, la peer education si pone, in linea ideale, lungo il percorso tracciato dall’esperienza dei gruppi di auto-mutuo-aiuto e si rifà alla psicologia dinamica e agli studi sulle dinamiche di gruppo. Da gruppi di auto-aiuto la peer education eredita un modello di relazione paritaria, fondato sulla cooperazione e sulla solidarietà. Allo stesso tempo la peer education si rifà ai processi di empowerment, di sviluppo personale e collettivo finalizzato alla presa di coscienza ed allo sviluppo del potenziale e delle competenze dei soggetti. La formazione del peer educator in questo senso non è stata tanto orientata a creare dei piccoli esperti, quanto a fornire gli strumenti che possano favorire l’attivazione solidale nel gruppo poiché è nel gruppo dei pari che attraverso il confronto, l’identificazione e la negoziazione delle competenze acquisite, gli adolescenti ricercano ed elaborano la propria identità. "
(Testo tratto dal sito: http://www.integrationet.com/MODELLI)

martedì 12 novembre 2013

Giovani immigrati, creazione di una identità!

I giovani immigrati di II generazione

"Sviluppare un intervento a favore delle seconde generazioni di migranti in Italia significa aprire unaquestione che nel prossimo futuro susciterà un importante dibattito, che non sarà più rigidamentecircoscritto soltanto all’immigrazione. Infatti, l’integrazione delle seconde generazioni non soltantorappresenta una tappa cruciale dei fenomeni migratori, ma è anche un importante fattore dicambiamento sociale per le società riceventi.Le seconde generazioni - con riferimento ai figli degli immigrati presenti in Italia, dove sono nati ohanno compiuto almeno una parte della loro scolarizzazione o formazione professionale -costituiscono una categoria sociale molto importante: devono mediare tra culture diverse e spessohanno difficoltà a trovare modelli con cui si, il che può talvolta suscitare in loro un sensodi frustrazione e di tensione.
Riportiamo, di seguito, alcune testimonianza di ragazzi stranieri:

Io ora mi sento come se non fossi di nessuna nazionalità …. Non mi sento nessuna delle due perchè : primacosa ,sono nato di là , ma non abito di là , non vivo più la vita di là .. Ma qua non è facile esser accettatocome amico , nel senso che tu sai di essere straniero , non hai un diritto , non sai parlare , non sai niente …Allora non è che mi sento italiano , ma non mi sento neanche salvadoregno ….. Anche a casa mi sento unpo’ fuori posto . Ho raggiunto mia madre che era qui da 14 anni, quindi non è che ho vissuto con lei . Anchecon lei sento l la differenza … mi devo abituare …” (Vitte )

“Io sono qui da nove anni. All’inizio ho proprio sentito la solitudine … cioè volevo fare tante cose ma nonriuscivo a fare niente. Proprio impotenza totale ! In Cina uscivo con gli amici , andavo in giro, invece qui tuttigiorni in casa , chiuso in casa da solo …I miei amici veri sono tutti cinesi ; con loro mi trovo subito , vogliamofare le stese cose , ci piacciono le stesse cose.. ”(Yue)

“Ormai mi sento italiano , ma non voglio rinunciare alla mia parte egiziana ; so che non potrei tornare adabituarmi alla vita egiziana e che il mio futuro non è là …. Magari sarà in Inghilterra. Io mi comporto come unitaliano , penso come un italiano … so molto più della vita italiana di tanti miei compagni . Questo è ormai ilmio paese . Però vorrei che si riconoscesse anche la mia parte araba . Perché dovrei dimenticarla ? ”(Amithai)

I frammenti tratti dai racconti autobiografici dei ragazzi stranieri (citati in Colombo 2007) delineanoalcune caratteristiche della nuova età che ha fatto la sua comparsa da poco sulla scena dell’immigrazione straniera in Italia e raccontano il tempo dell’adolescenza altrove , la ricerca di sè inbilico fra due mondi , i percorsi di identificazione tra le origini e il “qui e ora” .
A volte i cammini identitari portano i minori stranieri a sentirsi fuori luogo dovunque ( come Vitte:né italiano , né salvadoregno ) ; altre volte a sentirsi a proprio agio solo nel “cerchio caldo” dellacomunità etnica ( Yue) ; in altri casi ancora a cercare di integrare le due appartenenze (Amithaivuole essere e italiano e egiziano) .Percorsi e definizioni di sé sono naturalmente ancora aperti, soggetti ai cambiamenti, agli eventi,alle relazioni; e tuttavia segnalano la fatica che le ragazze e i ragazzi stranieri si trovano a doverfare in solitudine e in silenzio per ricominciare da capo, per far parte e sentirsi parte dellacomunità e del Paese che li accoglie.



Dall’analisi dei dati a disposizione si può notare come solo una piccola parte di adolescenti è nata inItalia e ha presumibilmente compiuto un percorso scolastico “alla pari” rispetto a quello deicoetanei italiani. La gran parte degli adolescenti immigrati è invece nata nel Paese d’origine ed ègiunta in Italia ad un certo punto della vita: per ricongiungersi ai genitori, per motivi economici, perlavoro, in cerca di asilo e in fuga dalla guerra. A loro è stata applicata l’efficace – anche se riduttiva- definizione di “generazione 1,5”, per significare una condizione di vita sospesa tra riferimentidiversi, a metà strada fra il contesto di origine e il luogo di accoglienza. Le norme sulricongiungimento familiare prevedono la possibilità di far giungere i figli in Italia solo se minorennie quindi, per poter riunificare la famiglia, vengono spesso interrotti i percorsi di studio.
Migrare nell’adolescenza comporta dunque anche una frattura nella propria storia personale, larottura di legami affettivi consolidati, un vissuto di regressione dovuto alla perdita di competenze edi saperi, al venir meno dell’autonomia; la necessità di riprogettare il proprio futuro in un contestodifferente ed estraneo. Oltre alle sfide proprie dei compiti di sviluppo di tutti gli adolescenti, iragazzi immigrati si trovano infatti di fronte a sfide specifiche, che hanno a che fare con la faticadella migrazione e con la necessità d’inserirsi senza perdere la propria storia.

L’orientamento della letteratura europea più recente conferma che ciò che più comunemente si riscontra nelle seconde generazioni,è che il vivere in bilico tra due mondi culturali diversi può dar luogo a fenomeni di sincretismi,mentre, in altri casi, se esso non è adeguatamente gestito, può portare all’adozione dicomportamenti marginali e devianti. I ragazzi che vivono un’esperienza di migrazione in etàadolescenziale devono infatti aggiungere, ai turbamenti ed agli squilibri tipici di questa fase dellavita, tutte le difficoltà che questo cambiamento comporta.
L’arrivo nel nuovo Paese e l’incontro con gli altri, con i coetanei autoctoni, hanno anche spessol’effetto di mettere profondamente in discussione l’immagine di sé, centrale nella formazionedell’identità. Soprattutto i più grandi possono vivere, subito dopo l’emigrazione, una fase più omeno prolungata di ‘sradicamento’, di cambiamento improvviso e profondo dello spazio, delleabitudini, dei ritmi e della stessa immagine di sé.Favaro (1993) parla di un vero e proprio “choc culturale” se il distacco dai luoghi dell’origineavviene per effetto di un meccanismo di separazione violenta e non motivata né risoltainteriormente.
Molte possono essere le reazioni degli adolescenti immigrati rispetto al nuovo contesto. Le sipossono descrivere come un continuum con due estremi: da un lato la soluzione che può esseredefinita resistenza culturale, termine che sottolinea un atteggiamento di chiusura e rifiuto neiconfronti della lingua e della cultura della società d’arrivo e il tentativo del ragazzo straniero di fareriferimento quasi esclusivamente alla lingua e al bagaglio culturale d’origine. Anche le relazionicon i coetanei tendono ad esistere quasi esclusivamente con i connazionali e a volte si può notare unuso quasi esoterico della lingua originaria.

All’altro estremo si trova invece la soluzione legata al processo di assimilazione, quindi ad unaadesione totale ai modelli e alla cultura d’accoglienza, con un contemporaneo rifiuto per la lingua egli atteggiamenti d’origine.Accanto a queste soluzioni se ne pone una terza che si può definire della marginalità, che sembramolto presente tra i ragazzi stranieri. Sono coloro che non si sentono di appartenere a nessuna delledue culture e che si collocano passivamente nei confronti di entrambe. Sembra che di fronte aproposte di ‘etnicità’ ambigue e contraddittorie, nel giovane finisca per prevalere la confusione, chespesso si esprime attraverso l’imperfetto bilinguismo: di conseguenza, anche dopo diversi anni disoggiorno nel nuovo Paese, non sa parlare correttamente né la lingua dei suoi genitori né quella deisuoi amici

La realizzazione dunque di “buone pratiche” destinate a questa fascia di età negli istituti scolasticideve tener conto dunque con le criticità proprie della migrazione in età adolescenziale e con lanecessità di costruire condizioni positive di inclusione e di scambio interculturale nella scuola ditutti. Si tratta dunque di elaborare e mettere in pratica metodologie innovative ed efficaci,adeguatamente flessibili e personalizzate, che sappiano valorizzare le risorse, la capacità e leesperienze dei giovani coinvolti, garantendone protagonismo nelle scelte e tener presente il sistemadi conoscenze, di bisogni ed aspettative di cui il giovane immigrato è portatore.

(Testo tratto dal sito: http://www.integrationet.com/MODELLI)